In fuga da Nazareth
IN
FUGA DA NAZARETH. PROFUGHI DI IERI E DI OGGI.
di
Massimiliano Ungarelli
Inaugurazione
18 marzo 2022, ore 15.30.
Dal
19 marzo 2022 al 12 giugno o 19 giugno 2022. (in via di definizione)
Orario:da
giovedì a domenica 15.00 - 18.30
Mattino,
gruppi e scolaresche su appuntamento
“Gli
esodi drammatici dei rifugiati sono una esperienza che Gesù Cristo stesso
provò, assieme ai suoi genitori, all’inizio della propria vita terrena, quando
dovettero fuggire in Egitto per salvarsi dalla furia omicida di Erode”.
Papa Francesco, “Luci sulle strade della speranza”,
17 gennaio 2019
Spesso
dimentichiamo che Dio stesso fu profugo, come ci raccontano le letture
dell’Avvento: Gesù, il figlio di Dio, fu salvato dai genitori che si
rifugiarono in Egitto per sfuggire alla furia omicida del Re Erode. Così,
Giuseppe, Maria e Gesù stesso divennero di fatto scarto, “pietra di inciampo”,
i profughi più famosi della storia umana. Ed è questo il nucleo che vuole
mettere a fuoco l’intera opera. A quell’azione così naturale e allo stesso
tempo disperata e primitiva (nulla infatti conta più al mondo per dei genitori
se non salvare il proprio figlio) a quell’azione dobbiamo la datazione della
storia: “avanti Cristo” e “dopo Cristo”.
La
loro non fu una scelta facile, come quella di qualunque profugo al mondo.
Abbandonare la propria terra comporta perdere tutto, diventare poveri, perdere
riferimenti culturali, ogni certezza, dalla propria lingua di origine, alla
casa, i suoni e gli odori di cui ci si è nutriti. Solo la speranza di
sopravvivere ad una morte certa, può spingerci a tanto e fu così per la
famiglia di Nazareth ed è così per tutte quelle famiglie che tuttora fuggono
dalla propria terra.
Nel
lavoro di Massimiliano Ungarelli, lo sguardo implicato e commosso dell’artista
si posa lieve sul dramma della fuga: così capiamo che l’essere profugo è
condizione esistenziale, che supera il tempo e lo spazio. Chiama in causa chi
guarda le sue opere, lo mette a disagio, perché sa che ciò che sta contemplando
non è fantasia, ma realtà.
Il
progetto “In fuga da Nazareth” non chiede di osservare un mondo sconosciuto, ma
quello dei paraggi, dell’ordinario, dell’intorno. Ci racconta di un “prossimo”,
nell’accezione di “vicino”, che barcolla, soffre, scappa, annega, cade a un
metro da noi. E tutto questo attraverso la semplicità e povertà dei soggetti e
la scelta dei materiali utilizzati per rappresentarli, perché nulla sottragga
centralità al ruolo dei protagonisti, i quali narrano un presente complesso e
non più censurabile.
“In
fuga da Nazareth” diventa motivo di rilettura in chiave artistica di una storia
passata - quella della Santa famiglia di Nazareth- che si attualizza nei passi,
nei gesti e negli occhi di moderni “poveri cristi”, profughi di ieri e di oggi.
Una rilettura - mai imposta ma coraggiosamente offerta - alla luce di quella
chiamata universale alla santità, che viene continuamente richiamata nelle
opere dal denominatore comune delle aureole, presente in tutti i quadri e che
permette il transfert sulla Sacra Famiglia. Ci si trova così dinnanzi ad un
“quadro non quadro”, che diventa pagina di storia in grado di aprire brecce sul
presente spazio-tempo.
Le
immagini della mostra raccontano vite in cammino verso una speranza, evocano
sofferenze e desideri di riscatto, memorie di dolore, denunce di ingiustizia…
In
questi volti graffiati e feriti da un legno di scarto, siamo invitati a trovare
almeno una scheggia di noi, nella consapevolezza che fa ripartire il viaggio:
Dio non fa scarti, ci recupera, ci riscatta, ci riabilita.
I
volti della famiglia di Nazareth, ad eccezione del primo quadro che ha dato
seguito all’intero progetto, sono estratti volutamente da foto di veri
profughi, perseguitati e poveri del nostro tempo. Persone che, nonostante il
male che subiscono, manifestano la forza, la bellezza umana e la sacralità
della vita.
L’intero
lavoro è sviluppato su due aspetti fondamentali: lo scarto e la povertà. Temi
sostenuti dalla scelta dei materiali e dalla tecnica utilizzata. Questa tecnica
pittorica utilizza pannelli in legno di recupero capaci di conferire alle opere
tratti particolari sui volti rappresentati, profondamente segnati, quasi
“feriti”. Perché da scarto e povertà può
nascere bellezza. Bellezza certamente fuori dai canoni estetici imposti dalla
società dell’immagine in cui viviamo. Bellezza imperfetta, come la superficie
ferita dei pannelli utilizzati, unici e irripetibili per le loro cicatrici,
perfetta incarnazione metaforica di cos’è realmente la vita, di cos’è l’uomo e
l’intera umanità.
L’INASPETTATA
SORPRESA DI PAPA FRANCESCO
Dal
catalogo della mostra raccogliamo l’inaspettata sorpresa di papa Francesco:
“L’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappa di un processo non
facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri. […] Quando
si rinnega il desiderio di comunione, inscritto nel cuore dell’uomo e nella
storia dei popoli, si contrasta il processo di unificazione della famiglia
umana, che già si fa strada tra mille avversità. La settimana scorsa, un
artista torinese mi ha inviato un quadretto, […] sulla fuga in Egitto e c’era
un San Giuseppe, non così tranquillo come siamo abituati a vederlo nelle
immaginette, ma un San Giuseppe con l’atteggiamento di un rifugiato siriano,
col bambino sulle spalle: fa vedere il dolore, senza addolcire il dramma di Gesù
Bambino quando dovette fuggire in Egitto. È quello che sta succedendo oggi. Il
Mediterraneo ha una vocazione peculiare in tal senso: è il mare del meticciato,
«culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca
inculturazione». Le purezze delle razze non hanno futuro”.
Dal
discorso di Papa Francesco ai Vescovi del Mediterraneo, Bari 23 febbraio 2020.